Allenatori, isole e contestazioni: verso una serata cruciale

scritto da Davide Perego
Una delle belle storie di questa prima parte di stagione la sta scrivendo un uomo di 49 anni, nato a Triengen   e di professione allenatore. Lui, vive tranquillo e felice sulla sua piccola isola e sono tutti contenti del suo operato. Non gli viene chiesto molto, ma lui è capace di ottenere risultati incredibili con risorse modeste e anche se nel calcio di oggi le due cose non vanno proprio in sintonia, lui non chiede nulla continuando a divertirsi con i suoi ragazzi e a vincere, nonostante anche le risorse modeste ad un certo punto siano finite. Poi, un giorno, arriva sull’isola un piccione viaggiatore, chiede di lui e lo invita ad una grande festa dove le persone sono tristi perché avrebbero necessità di uno come lui per continuare a sorridere.
L’allenatore si ricorda un film che aveva visto da ragazzino “Major League, la squadra più scassata della lega” e gli viene in mente Lou Brown quando dalla sua piccola isola rispose agli Indians di Cleveland che avrebbe dovuto pensarci su, ma prima aveva un treno di gomme da sostituire ad un cliente. L’allenatore ci pensa su e infine accetta di ascoltare la proposta per capire in quale maniera potrebbe essere utile. Accetta così di lasciare la piccola isola e di trasferirsi in una grande isola dove c’è il castello più bello di tutti e dove potrà allenare i giocatori migliori, con vitto e alloggio migliori e con la possibilità di frequentare isole più belle con castelli più belli giocando partite che nella sua vita non aveva mai giocato. Quando sbarca sull’isola trova un clima ostile, la gente gli chiede di tornarsene da dove sia venuto perché non sarà mai uno di loro: nemmeno se fosse capace di vincere la Champions League. L’allenatore non si fa intimidire perché lui – come tutti quelli arrivati a fare quel mestiere su quel tipo di isole (piccole o grandi esse siano) – ha due palle così e può fare il suo lavoro anche se non è gradito. Inizia a lavorare subendo anche qualche umiliazione che farebbe meditare di tornarsene sulla propria piccola isola, dove per rivederlo farebbero una festa così grande che sarebbe ricordata come la più bella mai vista. Lavora e vince, lavora e vince. Gli portano via alcuni dei giocatori più forti e lui gioca e vince, gioca e vince. Oggi è l’uomo sereno di sempre. Tra lui e chi non lo avrà mai così come lo vorrebbe c’è sempre un muro che non sarà facile sgretolare. Ad oggi, non ha mai perso una partita. Anzi, le ha vinte tutte e ne ha pareggiata una: davvero in quel caso ha avuto poco da recriminarsi. Questa sera, il piccolo grande allenatore, giocherà la partita più difficile della sua carriera. Molti sono pronti a giurare che non ce la farà. Sono gli stessi che se così fosse si sentiranno un po’ più sereni e sollevati delle proprie convinzioni. Io spero che finisca come vorrei. L’allenatore vincerà e tutti vissero felici e contenti. Non sarà così. E allora sarei già contento che l’allenatore vincesse e se poi non lo vorranno comunque accettare vorrà dire che la storia sarà ugualmente bella per quanto così diversa dalle altre. Potremmo ad esempio citare quella altrettanto simile di Mladen Petric: chi si ricorda come iniziò e come finì alzi la mano. Auguroni Urs Fischer: per sempre “uno di noi”. (dp)

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