Quello in cui sono nato e vivo è un paese oramai irriconoscibile. Anche se preso ed analizzato nella disciplina sportiva nazionale: il calcio. Tutto oramai sfiora il ridicolo. Non ci si indigna. Non ci si riconosce. Nessuna identità. Nessun progetto. Un lento tracollo di idee che fa rima con la crisi irreversibile delle istituzioni. Uno specchio di un fallimento annunciato che non trova nemmeno più ancoraggio nell’aspetto culturale e tanto meno in quello leggendario. La ” Gazzetta dello Sport” ha superficialmente affidato alla penna di un cronista inviato a Basilea, il compito di tracciare un profilo della “Svizzera globale” che gioca a calcio. Forse l’ennesima occasione persa per voler capire. Per mettersi all’inseguimento di chi è in fuga da qualche anno. Troppo poco spazio.
Accenni veloci per mancanza di “battute”. Quelle che invece sono ampiamente disponibili per mettere in risalto l’adulterio di un calciatore o della propria velina. Il successo del calcio rossocrociato e della propria scuola calcio ha radici di sudore, ideali e sacrificio: quello della pazienza. Si lavora con discrezione e con linee guida identiche per tutti. La qualità è eccellente. La formazione prima di tutto. L’educazione, un accessorio indispensabile tanto quanto la famiglia e lo studio. Ingredienti semplici tanto quanto sempre più introvabili in Italia da un certo livello in su. Eppure, anche in Svizzera le contraddizioni non mancano. In Canton Ticino – ad esempio – si parla più di calcio italiano che non svizzero. I ragazzini non conoscono i campioni della Super League, ma quelli della Serie B. La Svizzera non può far molto per tenere a casa propria i suoi “prodotti”, ma è forse questo uno dei segreti nascosti di un successo divenuto oramai di proporzioni mondiali. Calcio da esportazione di grandissima qualità. La Svizzera che vince la Coppa Davis. La Svizzera che spiega il calcio in Europa, soprattutto a livello giovanile. La Svizzera che arranca e zoppica sulla neve. Il mondo può cambiare. L’Italia non si adeguerà mai. Perchè ascoltare, imparare e capire è più faticoso di comprare e sfruttare. (dp)
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