Lugano, un problema che nasce dalla testa

scritto da Claudio Paronitti

Il tris subito dal Grasshopper ieri pomeriggio ha confermato che i problemi del Lugano non sono tanto fisici, bensì mentali

I numerosi impegni ravvicinati, che non permettono una preparazione adeguata alla partita successiva, possono essere una spiegazione alla situazione che si sta vivendo in quel di Cornaredo, con una squadra che, dal ritorno in campo dopo la pausa di inizio mese dedicata alle varie selezioni nazionali, ha collezionato quattro sconfitte (Young Boys, Hapoel Beer Sheva, Sion e GC) al pari di una sola, risicata, vittoria in Coppa contro il Köniz. Malgrado un insistito possesso palla – che nella maggior parte dei casi è stato superiore all’avversario – i bianconeri non riescono più a produrre occasioni a raffica come accadeva a luglio e agosto. Se in questi due mesi è mancata la concretezza della fase offensiva, ora l’incognita si espande pure agli altri reparti del campo. Un centrocampo troppo leggero e tecnico in cui non si vede l’ombra di un lottatore vero (alla Antoine Rey, giusto per fare un esempio) e una difesa che, a parte Sulmoni, lascia praterie ai propri contraenti come se ci si trovasse a correre una maratona tra le dune del deserto senza vista del traguardo.

Ma è proprio tutto così negativo in riva al Ceresio? I maligni sono pronti a scommettere e mettere la crocetta sul quadratino accanto al “sì”. Tant’è che alcuni tifosi (per intenderci, gli stessi che, dopo il poker rifilato al Thun a fine agosto, ammiravano i ragazzi e soprattutto mister Pierluigi Tami) sussurravano pure un imminente allontanamento del tecnico bianconero: qualcosa di surreale. Forse, ci si dovrebbe rendere conto che l’impresa della scorsa stagione è stata in tutto e per tutto un exploit per una piazza come quella sottocenerina. E che molto, ma molto, difficilmente verrà ripetuto. Forse, si dovrebbe lasciar da parte il passato e pensare al presente. Forse, non si dovrebbe criticare i ragazzi per il primo errore nel passaggio o nel posizionamento. Forse, non si dovrebbe abbandonare lo stadio come avvenuto ieri pomeriggio dopo il terzo punto degli ospiti. Tutte supposizioni, certo. Ma – visto che una squadra di calcio è fatta anche dei propri sostenitori – questi ultimi (eccezion fatta per l’encomiabile supporto dei ragazzi delle “Teste Matte”) dovrebbero (o meglio, devono) sostenere a più non posso i loro beniamini. In particolar modo in un periodo di difficoltà in cui si trovano i bianconeri.

I giocatori non sono robot e, anche se non sembra, sentono eccome le parole che piovono dalle tribune dello stadio. E questo si ripercuote sul mentale di una persona. Se continuamente messa alla gogna da chi dovrebbe volergli un bene dell’anima, è chiaro che non riuscirà a tradurre in prestazioni positive le sue volontà. In questo momento, i bianconeri hanno bisogno assoluto di tranquillità, ma se tale tranquillità non viene percepita nemmeno sui seggiolini dello stadio, allora un cambio di rotta non sarà compito affatto evidente. E, con due impegni tanto importanti alle porte (Steaua Bucarest giovedì e Zurigo domenica) il fattore-testa giocherà un ruolo fondamentale. D’altronde, l’allenatore ticinese l’aveva già affermato venerdì in conferenza stampa, quando aveva dichiarato di “vedere calciatori stanchi mentalmente”. Per far girare la ruota della fortuna dalla propria parte basta poco: un gol “sporco”, un errore sotto porta degli avversari o una decisione favorevole. È più facile a dirsi che a farsi, ovvio. Ma, se si gioca tutto sul mentale, è proprio lì che deve avvenire quel clic per modificare una determinata situazione.

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