Per me o per la squadra? Elvis o i Pink Floyd?

scritto da Davide Perego

dollaro1Dicono che Elvis fosse una forza della natura. Dicono anche che a parte quello fosse solo uno stronzo. “Un contadinotto stupido con due punti di intelligenza in più rispetto al suo mulo”. Parole di Lester Bangs. Intanto però dall’aratro alla sala d’incisione Elvis è stato ciò che tutti sanno e se non lo fosse stato sarebbe rimasto il cocco di mamma di sempre.

Un po’ quello che succede ai giocatori che per dirla alla Roberto Gatti ad un certo punto possono scegliere se diventare calciatori. Ma oggi non basta nemmeno questo. E allora pensiamo ai Pink Floyd: una squadra. Senza essere squadra non avrebbe potuto nascere “The Dark Side of The Moon” e, se non fosse nato, anche una “The Great Gig in The Sky” sarebbe stata orfana di un’idea. Meglio: di un progetto. E se avete già cambiato articolo ha poca importanza. Il punto di arrivo di un’introduzione ruffiana – fatta apposta per creare CHuriosità o per liberarsi dei perditempo – è che oggi i calciatori si riconoscono prevalentemente in uno stipendio e non per essere parte di una squadra. E poco importa di che livello la squadra sia.

Se avete tempo e fortuna di possedere qualche album di figurine Panini del calcio svizzero dalla metà dei ’70 alla fine degli ’80 potreste capire meglio di cosa parlo quando scrivo “squadra”. Per amore del gioco o per amore dei soldi la differenza fa tanto a zero. Ma soldi e attaccamento alla maglia (che poi vuol dire alla squadra) non fanno sinergia nel calcio moderno. I soldi possono essere uno stimolo per sentirsi parte di un club. Un club senza soldi non può riuscire a fare il contrario.

Ed è anche per questo che oggi – specie nelle realtà minori – diventa sempre più difficile riconoscersi in una squadra, in una società o in un progetto da difendere con orgoglio: qualsiasi esso sia. Da questo punto di vista, quella del Ticino è stata una delle prime regioni a soffrire di questa situazione e oggi nel DNA delle principali società del Cantone vi è tanto progetto individuale e poco progetto di club. Cosa del resto meno sentita nelle sezioni allievi dove è ancora possibile riuscire a riconoscersi in un’identità ben definita.

Sentimento che poi scompare nel grande mercato dei soldi nel quale le leggi soffocano ogni tipo di sentimento. Lo stesso derby viene snaturato nel suo essere dalla mancanza di scorza per poterne capire il significato.

I più bravi nel cercare di mantenerne un senso di appartenenza sono gli appassionati di vecchia data che però prima o poi si esauriranno e le nuove generazioni sono oramai cresciute con l’obiettivo di essere singolo prima ancora che parte di una squadra.

E a tenere alta la bandiera di squadra resteranno sempre in meno.

Ma forse – a quasi tutti – va bene così.