Guido Codoni: “Una maglia che non toglierò mai” (prima parte)

scritto da Davide Perego
E’ sempre difficile riuscire a sintetizzare in poche parole la carriera di certe persone. Riassumere ciò che Guido Codoni ha significato per il nostro movimento in quarant’anni di attività sportiva è un compito assai arduo. Tutto iniziò nel lontano 1975 quando l’allora ragazzo, fresco sposo, decise di intraprendere l’hobby dell’arbitraggio. Il calcio era molto diverso da oggi, in molte sue sfaccettature, ma l’impegno e la competizione erano caratteristiche speculari al calcio “moderno”. Col tempo e la dedizione riuscì lentamente a fare carriera arrivando fino alla 1^ lega. Un grande traguardo, considerando soprattutto i tempi che correvano. Mai come allora, infatti, il Ticino ha goduto tanta prosperità di talenti, nomi come Papa, Bianchi, Peduzzi, Raveglia, Scalena e Gozzi erano considerati da tutti figure di indubbio valore. Ma non per questo Guido non riuscì a farsi valere, meritandosi momenti di indimenticabili gratificazioni personali.
Il vero cambiamento, però, giunse quando gli proposero di fare da assistente a Francesco Bianchi. Malgrado
alcune naturali perplessità iniziali accettò l’incarico, inconsapevole del fatto che tale decisione gli avrebbe permesso per lungo tempo (dieci anni per l’esattezza) di calcare i campi più gloriosi della Svizzera, oltre che
vivere esperienze indelebili anche in campo internazionale. Nel corso degli anni ebbe modo di collaborare con arbitri di livello mondiale, come per esempio Urs Mayer e Werner Muller. Tutte esperienze capaci di forgiarlo come arbitro ma soprattutto come persona. Una volta che Francesco Bianchi si dimise dai quadri nazionali, la sua carriera da assistente prosegui per pochi anni con Ivano Delgrosso, anch’egli arbitro di talento e capace di salire fino alla Challenge League. Un periodo bellissimo. Tantissime gioie ed esperienze da ricordare. Ma rimanere al top, si sa, ti obbliga a tanti sacrifici: quattro allenamenti settimanali, continue riunioni e lunghe trasferte per la Svizzera. Un piacevole impegno che negli anni ha cominciato a scontrarsi con altri obblighi ed impegni personali, come per esempio la professione di insegnante, di per sé già molto impegnativa. Da qui la decisione di “rallentare” optando per un ritorno in regione, senza mollare il fischietto ma proseguendo imperterrito la sua passione sul campo (fino a pochi mesi fa lo si poteva ammirare in partite di seniori!). Come giusto che sia una volta terminata la carriera di arbitro d’elite la sua attenzione si è focalizzata sulla sfera dirigenziale e prettamente formativa.. Da dirigente arbitrale ha assunto inizialmente la presidenza del GAM (Gruppo arbitri del Mendrisiotto) e successivamente quella dell’ASA Ticino (l’Associazione arbitrale regionale), mentre da ispettore ha visionato più di cinquecento arbitri, dai debuttanti fino alla 1^ lega. In seno alla federazione è stato vicepresidente della Commissione arbitri, quando ancora a presiederla era Bergamini, diventando tra l’altro responsabile dell’istruzione e della convocazione degli ispettori. Oggi siamo qui a rendergli omaggio per quanto fatto in tutti questi anni di attività. Chi ama questo ruolo sa bene quanto sia difficile lasciarlo. Ma arriva sempre il momento per tutto. Noi lo ringraziamo e lo salutiamo con affetto. Il suo stile di vita lo ha portato fortunatamente a non vivere sugli allori rimanendo persona attiva e impegnata. Basti pensare alla grande passione condivisa con sua moglie Rita per la montagna o all’impegnativo ruolo di nonno nei riguardi dei suoi nipotini! Un sollievo per noi tutti visto che, quantomeno, non starà sdraiato sul divano a guardarsi la televisione! Ci mancherai Guido. Continua a sostenerci.
1. Guido, dopo 40 anni di “onorato servizio” hai deciso di terminare la tua carriera. Immagino sia stata una
decisione sofferta. Cosa ti ha spinto a farlo? 
Era da qualche tempo che ci pensavo. Per quanto riguarda
l’arbitraggio il mal di schiena mi impediva di seguire l’azione ad una distanza adeguata, anche per le categorie senior e veterani. In più ci si è messa anche una calcificazione ad una spalla. Insomma, l’età mi ha detto che era l’ora di smettere. Avrei potuto, ancora per qualche anno, continuare come ispettore. Devo dire che fino a pochi anni fa ispezionavo arbitri che conoscevo in quanto avevo contribuito a formare. E per me questo era un piacere. Ora non conosco più nessuno e mi sento un pesce fuor d’acqua. Inoltre sopporto sempre meno gli insulti gratuiti formulati nei confronti degli arbitri durante gli incontri. Ultimamente, durante le ispezioni, mi è capitato di altercarmi con questo o quel personaggio per gli improperi formulati nei confronti del direttore di gioco. E questo non va bene. Meglio smettere per tempo prima di qualche spiacevole avventura. Devo anche aggiungere che la mia “funzione” di nonno mi assorbe parecchio tempo.
2. Della tua carriera si potrebbe scrivere un libro. Iniziamo dal principio … A che età hai cominciato a svolgerla? 
Da giovane, a Chiasso e in Magistrale a Locarno, mi piaceva giocare a calcio. Poi ho cominciato a insegnare, mi sono sposato e nutrivo il bisogno di praticare uno sport. Feci delle corse in montagna, ma il richiamo del football era forte. Quasi contemporaneamente mi iscrissi al corso di formazione arbitrale e a quello di allenatore. Portai avanti le due funzioni per qualche anno, poi quella arbitrale prevalse. 
3. Come mai decidesti di provare a fare l’arbitro? 
Devo dire che, quale tifoso del FC Chiasso, quando seguivo le partite ero un mangia arbitri. Una sera mi ricordo di aver visto alla televisione un direttore di gara, il sig. Menicucci di Firenze, uscire dal campo di Napoli tra gli improperi dei giocatori e i fischi degli spettatoriFu una scena allucinante che mi spinse a mettermi in discussione accentandone la sfida! 
4. Che ricordi hai dei tuoi “primi passi”? 
Quali sono state le difficoltà iniziali che hai dovuto superare? La partita d’esordio fu una gara di allievi C alle Fornasette di Monteggio. Ispettore Achille Cedraschi. Non mi ricordo particolari difficoltà. Tra noi arbitri del Mendrisiotto c’era un bellissimo ambiente. Ci trovavamo a discutere delle partite, delle situazioni difficili che si erano dovute affrontare, su come compilare in modo corretto il rapporto e, con alcuni, ci si allenava assieme.
5. A distanza di anni credi che l’arbitraggio ti abbia aiutato a formare qualche lato della tua persona? 
Una scuola di vita eccezionale. Saper prendere la decisione giusta in un lasso di tempo brevissimo è importante in molte situazioni di vita, non solo arbitrale. Riuscire poi a superare un momento difficile, senza rimuginare ma mantenendo la mente lucida, è stato un altro aspetto formativo per me molto importante. 
6. E’ risaputo che soprattutto agli inizi di carriera gli arbitri, soprattutto giovani, tendono per vari motivi ad abbandonare il ruolo. A te è mai capitato un momento di sconforto? 
Eccome no! Era una delle prime partire degli attivi che dirigevo. Il campo era quello del Pura e il presidente di quel sodalizio prese ad inveire nei miei confronti sin dai primi minuti di gioco. La mia debolezza fu quella di tollerarlo a bordo campo e il mio equilibrio ne soffrì. In situazioni del genere gli errori si inanellano e a fine partita uscii dal campo sconfortato. L’ispettore, ancora Cedraschi, non infierì affatto, anzi mi fece capire i miei errori e mi incoraggiò a continuare. Fu un’esperienza estremamente positiva e formativa e quella fu la “filosofia d’ispezione” che adottai quando divenni a mia volta ispettore.
7. Parliamo un po’ della tua carriera. Il tuo era il periodo d’oro per i quadri ticinesi, basta ricordare colleghi quali Peduzzi, Raveglia, Bianchi, Papa, Scalena. Come hai vissuto questa competizione, semmai c’è stata? 
La competizione era con gli altri arbitri di prima divisione. A fine stagione solo i migliori venivano presi in considerazione per l’ascesa alla categoria superiore. Non dico nulla di sensazionale affermando che la competizione tra noi arbitri è sempre esistita! “Mors tua vita mea”, recita una locuzione latina. Sembra creata appositamente per la categoria arbitrale! Il fallimento di qualcuno significa liberare un posto e aumentare le chances di promozione a qualcun’altro! Non ricordo però momenti di tensione particolari. Ognuno ha fatto il suo percorso e i migliori hanno vinto.

SECONDA PARTE

Articolo tratto dalla rivista “L’Arbitro” . Numero 2 – Marzo 2015 – Per gentile concessione dell’autore.

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