Il parere degli esperti per chiunque si rechi a vedere una partita di giovani calciatori

scritto da Walter Savigliano

 

Prima di tutto, sedetevi con calma e leggete questo interessante articolo sui bambini che praticano calcio e sport in generale, che vale per genitori, tifosi, dirigenti,  allenatori, e chiunque è sugli spalti a vedere una partita di ragazzi.

Abbiamo trovato nel web questo interessante articolo, impossibile da non pubblicare. A nostro parere vale per chiunque si rechi a vedere una partita o allenamento di calcio, o altri sport, in cui ci siano ragazzi non ancora in prima squadra, per cui vi preghiamo, nella lettura, di sostituire la parola genitore con “il ruolo di chi sta leggendo”.

Il ragazzo che sceglie di impegnarsi nel calcio (e nello sport in generale) merita rispetto e stima da parte dei genitori, che devono cercare di spronarlo ed incoraggiarlo nello svolgimento di tale attività, ma soprattutto capire, e fargli comprendere, che lo sport è prima di ogni cosa, divertimento e voglia di stare insieme, senza nutrire gelosie inutili o false ambizioni, che, il più delle volte, sono di ostacolo e non di aiuto al genitore. In effetti, particolarmente nel calcio e nella fascia d’età compresa tra i 7 ed i 14 anni, il genitore si trova di frequente protagonista di situazioni spiacevoli, che creano problemi ed ostacoli ad una serena e positiva attività sportiva per il proprio figlio.
Molto spesso, un occhio attento scopre che il vero protagonista delle partite giovanili, colui che è più carico di tensioni, che si è preparato meticolosamente e che poi si dispera se si sbaglia un tiro in porta è proprio il genitore. Il ragazzino, invece, scuote le spalle, cancella quasi subito l’errore o la sconfitta e, in definitiva, l’unica cosa di cui veramente si rammarica è l’idea della predica che lo aspetta a casa. Può capitare che inconsciamente si tenda a realizzarsi attraverso il bambino e a proiettare su di lui i desideri che non si è riusciti a soddisfare da giovani. Con la convinzione che “lo si fa per il suo bene”, in realtà si può correre il rischio di diventare veri e propri deterrenti psicologici, non solo condizionando negativamente il rendimento in gara, ma, fatto ancora più grave, danneggiando lo sviluppo psicologico del ragazzo.
Molto spesso si vorrebbe che il proprio figlio non dovesse mai soffrire, ne commettere errori, ma ricevere dalla vita solo gioia e felicità: questo, purtroppo, non è possibile ed il compito del genitore diviene, perciò, quello di non intromettersi nelle scelte del figlio e di non voler vivere la vita al suo posto, capendo che ogni errore commesso ed ogni dolore provato aiuta il ragazzo a crescere ed a formare una sicura personalità. L’attività sportiva è uno dei mezzi migliori per aiutare il proprio figlio a maturare e a crescere, in quanto il calcio (e lo sport in generale) spinge il giovane ad impegnarsi, a cercare di migliorarsi, a mettersi continuamente alla prova, a stringere rapporti sociali, a comprendere il sacrificio e l’umiltà, ad assumersi delle responsabilità ed a divenire membro di una collettività nella quale vigono, per ciascuno, diritti e doveri.

Di seguito vengono proposti alcuni suggerimenti per i genitori, frutto di esperienze e che servono ad indicare un modello di comportamento positivo nei riguardi dei propri figli, modello che, ovviamente non ha nessuna pretesa di essere un “dogma”, ma solo una traccia di riflessione.

•Stimolare, incoraggiare la pratica sportiva, lasciando che la scelta dell’attività sia fatta dal bambino.
•Instaurare un giusto rapporto con l’allenatore per fare in modo che al bambino arrivino sempre segnale coerenti dagli adulti di riferimento.
•Lasciare il bambino libero di esprimersi in allenamento ed in gara (è anche un modo di educarlo all’autonomia).
•Evitare di esprimere giudizi sui suoi compagni o di fare paragoni con essi: è una delle situazioni più antipatiche che si possano verificare sia per i piccoli che per i grandi.
•Evitare rimproveri a fine gara. Dimostrarsi invece interessati a come vive i vari momenti della gara ed eventualmente evidenziare i miglioramenti. Aiutarlo a porsi obiettivi realistici ed aspettative adeguate alle proprie possibilità.
•Offrire molte opportunità per un’educazione sportiva globale. Rispetto delle regole, degli impegni, delle priorità, dei propri indumenti, degli orari, dei compagni, dell’igiene personale. Il genitore deve concorrere al raggiungimento di questi obbiettivi con l’allenatore.
•Far sentire la nostra presenza nei momenti di difficoltà; sdrammatizzare, incoraggiare, evidenziare gli aspetti positivi. In ogni caso salvaguardare il benessere psicologico del bambino.
•Avere un atteggiamento positivo ed equilibrato in rapporto al risultato, saper perdere è molto più difficile ed importante che saper vincere. Nello sport, come nella vita, non ci sono solo vittorie e dopo una caduta bisogna sapersi rialzare.
•Tener conto che l’attività viene svolta da un bambino e non da un adulto.
•Cercare di non decidere troppo per lui.
•Cercare di non interferire con l’allenatore nelle scelte tecniche evitando anche di dare giudizi in pubblico sullo stesso (in caso di atteggiamenti ritenuti gravi rivolgersi in Società).
•Cercare di non rimarcare troppo al bambino una partita mal giocata o quant’altro evitando di generare in lui ansia da prestazione (non bisogna essere né ipercritici né troppo accondiscendenti alle sue richieste che spesso sono solo dei capricci).
•Incitare sempre il bambino a migliorarsi facendogli capire che l’impegno agli allenamenti in futuro premierà (rendendolo gradatamente consapevole che così come a scuola anche a calcio per far bene c’è bisogno di un impegno serio).
•Abituare il bambino a farsi la doccia, legarsi le scarpe da solo e a portare lui stesso la borsa al campo sia all’arrivo che all’uscita (rendendolo piano piano autosufficiente).
•Cercare di non entrare nel recinto di gioco e nello spogliatoio.
•Durante le partite cercare di controllarsi: un tifo eccessivo è diseducativo sia per i bambini che per l’immagine della società nei confronti dell’esterno.
•Cercare di ascoltare il bambino e vedere se quando torna a casa dopo un allenamento od una partita è felice.
•Ricordarsi che sia i compagni che gli avversari del proprio bambino sono anche loro bambini e che pertanto vanno rispettati quanto lui e mai offesi.
•Rispettare l’arbitro e non offenderlo. Molto spesso gli arbitri sono dei dirigenti e anche loro genitori che stanno aiutando il calcio giovanile: tutti si può sbagliare, cerchiamo di non perdere la pazienza!
•Ricordarsi che molte volte si pensa che “l’erba del vicino sia sempre la migliore” e pertanto prima di criticare l’operato della Società cercare di capire chiedendo direttamente spiegazioni ai Dirigenti responsabili di eventuali scelte ritenute ingiuste.

In un progetto di formazione nello sport che si prenda cura dell’individuo è utile trovare uno spazio adeguato ai genitori. E’ opportuno premettere che i genitori, nonostante siano orientati a desiderare il meglio per i loro figli e a non commettere errori, sono esseri umani e perciò fallibili, nonostante le intenzioni. Ciascun genitore raccoglie in sé pregi e difetti, potenzialità e limiti, desideri ed aspettative. Il mondo del calcio (e dello sport) è fatto di regole, rispetto, accettazione, valorizzazione delle qualità, consapevolezza dei limiti, vittorie e sconfitte, delusioni e soddisfazioni.

Il genitore (tifoso) utile al calcio (e allo sport in generale) è in conclusione colui che:

•è presente, si impegna a conoscere e capire il proprio figlio per le qualità, i limiti, le intenzioni, i desideri, i bisogni, gli errori ed i successi.
•stima il figlio nonostante gli errori ed i limiti.
•rispetta le regole, gli avversari, i tecnici, le decisioni arbitrali.
•fa critiche costruttive utilizzando messaggi chiari.
•incoraggia a competere sulla base delle proprie capacità.
•rispetta il ruolo dei tecnici e dei dirigenti.
•chiede, se lo ritiene opportuno, chiarimenti ai tecnici e ai dirigenti evitando così di alimentare pettegolezzi che si rivelano sempre dannosi per l’ambiente e creano situazioni ansiogene tra gli atleti.

Il calcio non è solo movimento. E’ anche educazione, rispetto, cultura, valori, benessere, stare insieme, condividere, accettazione dei propri limiti, valorizzazione delle proprie risorse, collaborare, mettersi alla prova, autocritica, obiettivi da raggiungere e da condividere. E’ amicizia, fratellanza, sana competizione. Insegna a gioire della vittoria e ad accettare l’amarezza della sconfitta, a cadere per poi rialzarsi, a vivere le emozioni. Tutto questo è cultura calcistica sportiva.

L’importanza del Feedback positivo e costruttivo

Il feedback, ovvero il riscontro che date a vostro figlio, deve essere costruttivo sempre! Se si vuole fare crescere i vostri figli con autostima e senso di sicurezza, confidenti nelle proprie capacità, questo è l’unico modo che avete per centrare questo obiettivo. Concentratevi su ciò che hanno fatto bene, specificando cosa e come. Bisogna rinforzare gli atteggiamenti positivi e sottolineare sempre ciò che i vostri figli fanno bene, non dare nulla per scontato o per dovuto. Anche ciò che a voi sembra una sciocchezza o una banalità, o un gesto facile, per i vostri bimbi può essere un’impresa che non deve passare inosservata ai loro genitori: così facendo li stimolerete a ripetere la prova positiva. Se fate notare ai bimbi che sono bravi fare un gesto, probabilmente lo ripeteranno con più facilità. E’ fondamentale insegnare al proprio figlio a tollerare la frustrazione.

Ogni genitore per il proprio figlio vorrebbe il meglio e se fosse possibile gli eviterebbe di imbattersi in qualsiasi esperienza negativa. Semplicemente perché lo ama molto. Ma proprio per questo, bisogna avere la forza di fargli sperimentare, oltre alle cose belle, le delusioni e le esperienze problematiche. A tale proposito, il calcio oltre a permettere al bambino di fare esperienza di una serie di eventi positivi, da l’opportunità di cimentarsi nella sconfitta, attraverso la partita persa, i rimproveri del compagno, il gol subito o la mancata convocazione.
Anche se per ogni genitore è doloroso vedere il proprio figlio deprimersi o soffrire per ciò che sta vivendo, è importante insegnargli che bisogna tollerare i momenti difficili, perché con questa esperienza si propone al bambino l’opportunità di trovare la strategia personale per reagire alle situazioni stressanti della quotidianità. Se non si insegna ai propri figli che le cose non vanno sempre come si desidera, da adulti non saranno in grado di farlo da soli. Quindi bisogna sostenerli a sopportare una delusione che viene dall’esterno, guardando con ottimismo alle opportunità future di riscattarsi, suggerendogli in questo modo una strategia per non sentirsi sopraffatti dagli eventi. Il calcio dà l’opportunità ad un bambino di fare questo tipo di esperienza, bisogna sostenerlo e spiegargli con amore che più si imparano a sopportare le sconfitte più ci si rafforza, ma prima è necessario che sia convinto di questo il genitore che suggerisce il messaggio.

A volte dopo una partita, il genitore, insoddisfatto del risultato o della prestazione del figlio, si mette a criticare le decisioni del mister, non rendendosi conto, per mancanza di conoscenza di questi meccanismi, che così facendo svalorizza una figura di riferimento per il figlio, discernendola di credibilità. Inoltre, ciò può indurre il bambino, che tende ad imitare il genitore, all’abitudine di criticare tutti, proiettando spesso sugli altri il motivo di una sconfitta, o di un’ammonizione, senza riconoscere le proprie manchevolezze. In questo senso può capitare che invece di rendersi conto di non aver giocato molto bene, si dà la colpa all’arbitro, o all’allenatore, soprattutto se si assiste alle affermazioni di un genitore che non riconosce i limiti del figlio. Così facendo, si esclude al bambino l’opportunità di riflettere e capire dove si è sbagliato, traendo da ciò degli spunti di crescita.

Distinguere se stesso dal proprio figlio

Spesso il proprio figlio è vissuto come un prolungamento di se stessi. Questo atteggiamento, spontaneo e non controllabile, è la conseguenza della tendenza dell’essere umano a vedere una parte di sé nel bambino che mette al mondo. Se succede di vedere piangere il proprio figlio in mezzo al campo perché ha sbagliato il rigore o ha subito un fallo, ci si sente inquieti e si può reagire in modo brusco, magari con il genitore di quel bambino autore del fallo. Tutto ciò accade perché quell’esperienza è stata vissuta come un attacco alla parte di se stessi a cui si tiene di più, ovvero quella proiettata sul figlio. In questo senso, il genitore vive le esperienze del proprio figlio come se fosse lui a farle, recependo le sue sconfitte come se fosse lui il perdente, sovreccitandosi anche in modo troppo acceso se il figlio vince. Questo atteggiamento non passa inosservato al bambino, che è sensibile agli stati d’animo del genitore ed al modo in cui egli si comporta o parla con lui. Se dopo aver perso la gara, vede il genitore affranto con il suo silenzio o ipercritico, oppure a seguito di una vittoria lo sente esprimere un eccesso di elogi, l’idea che si fa è che sia accettato da lui soltanto se vincente.

Ciò può portarlo, nel momento in cui si appresta a disputare la gara, a concentrarsi soltanto sul tentativo di non perdere, per evitare di sopportare la delusione di vedere insoddisfatto il proprio genitore. Sarebbe invece costruttivo che si concentrasse sulla collaborazione con gli altri compagni, su ciò che gli suggerisce dalla panchina il mister e disputare la propria gara, non quella che si aspetta il genitore. Lasciare al proprio figlio lo spazio di farsi un’idea personale degli altri e delle situazioni. Il bambino di solito, valuta le sue esperienze in base a come i genitori le vivono, in quanto non ha ancora senso critico. Se si dice al proprio figlio: “Questa maglietta ha un colore che non ti sta bene” lui molto spesso non riesce a capire che si tratta di un giudizio personale, ma pensa che in assoluto quel colore non gli stia bene.
Nel contesto dell’esperienza calcistica questo significa che dargli giudizi personali su altri calciatori, o sull’allenatore, o su un’altra squadra, potrebbe confondergli le idee, inquinando il rapporto che il bambino tenta di stabilire con gli altri. E’ necessario delegare la preparazione del figlio, esclusivamente all’allenatore. Partecipare all’attività del figlio come se si assistesse al calcio degli adulti, entusiasma e coinvolge i genitori, ma senza dubbio relega in secondo piano l’attenzione per il bambino e molto spesso incide sulla figura dell’allenatore, esponendolo a critiche e giudizi poco obbiettivi, che rischiano di demotivarlo ed interferire sul lavoro che compie con impegno e professionalità. Di fronte a questo problema, non si può avere la pretesa di modificare una concezione del calcio che ha radici culturali profonde e largamente condivise. Bisogna tuttavia riconoscere, che spesso il genitore agisce in modo inadeguato involontariamente, perché non si rende conto che l’allenatore rappresenta per il proprio figlio una figura di riferimento importante, che il bambino tende ad idealizzare e che le critiche rivolte al tecnico possono disorientarlo.
L’allenatore che lavora in una scuola calcio dovrebbe essere riconosciuto un ruolo ben diverso da quello del tecnico delle squadre che si seguono in televisione, in quanto egli è un educatore che nell’istruire allo sport, insegna al bambino ad esprimere le sue potenzialità al meglio, intendendo con queste non solo le capacità tecniche, ma la capacità di socializzazione in un gruppo, di gestire l’ansia attivata dal mettersi in gioco, la capacità di diventare autonomi negli spogliatoi, di rispettare l’autorevolezza dell’allenatore, quindi una serie di aspetti dal valore educativo utili per la crescita. Non ci si può, quindi, limitare a valutare il suo operato esclusivamente dal numero delle vittorie e dalle sconfitte raccolte, ma bisogna predisporsi a valutare in un modo più ampio il suo lavoro ed i suoi risultati, cercando di interferire il meno possibile. In questo senso, il genitore dovrebbe essere in grado di lasciare l’allenatore libero di fare le sue scelte, anche perché se è vero che nessuno meglio del genitore conosce il proprio figlio e pur vero che nessuno meglio dell’allenatore conosce la sua squadra.
Se poi i risultati non sono soddisfacenti per il genitore, bisogna considerare che potrebbero esserlo per l’allenatore, che per esempio con una formazione alternativa mandata in campo intende, magari, sperimentare nuove potenzialità del gruppo al di là del risultato. Molto spesso, il genitore concentrato esclusivamente sul risultato, non coglie taluni aspetti e muove più o meno direttamente delle critiche, che rischiano di confondere il tecnico e ripercuotersi sull’andamento della squadra, inficiando proprio su quello a cui i genitori aspirano, ovvero veder vincere il proprio figlio. Il genitore dovrebbe cercare di rendersi conto di quali siano le sue aspettative nei confronti del proprio figlio e quali siano le reali capacità del figlio di attuarle.
Ogni bambino ha le sue preziose potenzialità e se tra queste non ci rientra la capacità di giocare bene a pallone, bisogna essere in grado di riconoscere che il proprio figlio potrebbe sentirsi molto più realizzato e sicuro di sé nell’ambito di un altro sport. A meno che non gli si faccia capire che il calcio è un gioco e che prima di tutto ci si deve divertire, in questa ottica non è necessario essere un campione per disputare una gara. Il genitore dovrebbe sapersi concedere uno spazio di riflessione, in cui chiedersi cosa si aspetta dal proprio figlio, in questo modo potrà rendersi conto che al di là delle aspettative compensatorie per cui si desidera vedere attuare in lui quello che non si è riusciti a diventare, l’aspettativa profonda a cui ogni genitore tiene di più è senza dubbio quella di desiderare che il proprio figlio diventi un adulto sereno.
Per far si che ciò avvenga bisogna prima di tutto lasciarlo libero di essere quello che è e proporsi a lui come un valido riferimento da cui trarre conforto ma anche incitamento, controllando meglio che si può l’insidioso tentativo che a volte sfugge, di plasmarlo secondo i propri desideri. In conclusione quel genitore che in tribuna si emoziona perché il figlio sta calciando il pallone, assieme al desiderio di vederlo vincere dovrebbe tentare di vedere la situazione con un’altra ottica, per cui incitarlo affinché non demorda nell’affrontare meglio che può l’avversario, impegnandosi con tenacia nel perseguire le direttive del mister, non abbattendosi se qualcuno più forte di lui lo contrasta. In tal modo, il genitore diviene spettatore di un evento più soddisfacente della vittoria stessa: vedere il proprio figlio impegnato ad esprimersi al meglio indipendentemente dal risultato, dal momento che entra in campo fino al fischio finale di quella partita che è solo sua.
Il Docente di Psicologia dello Sport presso i Corsi Allenatore FIGC/LND e presso il Settore Tecnico Coverciano della FIGC e dell’AIAC.

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