Matteo Tosetti, intervista esclusiva: il sogno Serie A magari con il Milan, l’avversione ai cross di ZZ e tanto altro!

scritto da Pier Luigi Giganti

Foto FC Thun

Chiacchierare con Matteo Tosetti ti riconcilia con il mondo del calcio. Lontano anni luce dal prototipo di stella viziata, coccolata e con poco sale in zucca, il 25enne si apre alle domande di Chalcio con inusitata modestia e passaggi articolati. Affronta con entusiasmo qualunque argomento, da quelli più scomodi ai più tecnici fino ad arrivare alle tematiche maggiormente personali.D’altronde Stephane Chapuisat, non certo l’ultimo arrivato, si era lasciato andare a giudizi lusinghieri quando le strade dei due si erano incrociate a Berna. “È un ragazzo rispettoso e concentrato sulla sua carriera; sono contento della sua attitudine, è un esempio”, aveva affermato l’ex bomber della nazionale rossocrociata.

Tuffiamoci allora in quest’intervista con l’assist-man del Thun tra un omaggio al Napoli di Champions, il sogno Serie A magari in rossonero, l’avversione ai cross di Zeman e tanto altro …

Iniziamo con il presente: la stagione scorsa in 35 partite hai fatto 15 assist, quest’anno nelle prime quattro ne hai fatti tre e hai segnato anche un gol. Se continui così a fine stagione farai 27 assist!! Dove ti vuoi fermare?

Chiaramente cono partito molto ambizioso, voglio ripetere la bella stagione passata, alzando ancora l’asticella. In questo debutto è iniziato tutto benissimo, anche nel derby. Sono già a quota tre, vero, ma qui in Svizzera non è facile perché è una Lega piccola e si gioca spesso con le stesse squadre e quindi ti conoscono molto bene e sarà difficile trovare le soluzioni per essere ancora decisivo, ma io ci proverò perché voglio andare avanti, sono molto ambizioso e voglio aiutare anche la squadra con passaggi decisivi e gol. Cerchero’ di segnare maggiormente visto che tendenzialmente sono più un assist-man che un goleador.

 

Toglimi una curiosita’: con lo Young Boys il gol su angolo con scambio tra te, Sorgic e conclusione vincente di Lauper l’avete copiato proprio dai cugini bernesi che pochi giorni prima avevano fatto una rete simile con Bertone?

No, è stato un caso, non ho problemi a dirlo, ma l’allenatore ha dato molta libertà in merito a varianti sui calci piazzati a me e diversi giocatori. Quindi ho ricercato un paio di varianti e alcune me le sono ricordate. Questa è stata una che il Napoli aveva fatto in Champions l’anno scorso. È da lì che l’ho rubata. È stata pura casualità che pochi giorni prima lo Young Boys avesse usato uno schema assolutamente identico. Va bene così perché pur conoscendola hanno subito la rete. Per noi andava benissimo.

 

In merito al nuovo allenatore, a Schneider: avete fatto tre punti fondamentali nel derby e avete preso una bella boccata d’ossigeno. L’inizio del campionato, sebbene aveste giocato abbastanza bene, a livello contabile era diventato delicato. Cominciava a insinuarsi il dubbio, pativate magari il fatto di avere un tecnico inesperto?

Sinceramente no. Conosciamo Schneider da molto, è in società da tantissimi anni, è sempre stato vice-allenatore. Conosce bene l’ambiente e conosce anche le aspettative del club. Quindi eravamo tranquilli, sapevamo che l’avvio di stagione non sarebbe stato facile dovendo affrontare subito le quattro squadre più forti. Eravamo consci che dovevamo confrontarci con una partenza difficile, tanti pensavano avremmo fatto zero punti. Ci siamo ritrovati a un passo dal compiere un mezzo disastro, nonostante certe partite le abbiamo giocate bene, come ad esempio contro il Sion quando pur dominando siamo usciti sconfitti e anche a Zurigo dove siamo stati in vantaggio. Quest’anno il livello è molto alto, non ci sono squadre materasso su cui poter speculare. Dunque bisogna giocare tutte le partite perché in tutte le sfide ogni squadra può mettere in difficoltà l’altra. Non abbiamo ottenuto nulla con questi tre punti, anche se ci siamo tolti da una situazione difficile, ma il cammino è ancora lungo. Ad ogni modo si tratta di una vittoria che assieme alla prestazione fa benissimo al morale.

 

Apriamo una parentesi sul passato, è più di un anno che hai lasciato il Ticino e il Lugano: in qualche maniera è ancora aperta la parentesi luganese o ormai ci hai messo una pietra sopra?

Non sono uno che porta rancore. Ho messo la pietra sopra e guardo avanti. Non è stato facile perché i migliori risultati, le migliori emozioni le ho vissute a Lugano. Sportivamente c’è stata una promozione, una salvezza, una finale di Coppa, tutte cose che restano. Inoltre avevo un bellissimo rapporto con i miei compagni, con quelli del club e con i tifosi. Non è stato facile abbandonare tutto ciò, lasciare di nuovo la famiglia dopo tutti gli anni passati insieme, non è evidente. A Thun sono però felice, statistiche e risultati parlano a mio favore e la scelta di venire qui è stata più che azzeccata. Non ho rimpianti e mi godo questa situazione, sono contento e cercherò di lavorare maggiormente per ottenere risultati ancora migliori.

 

A Thun ti sei preso una gran bella rivincita: sei un titolare fisso, i numeri sono dalla tua parte. Quando eri a Lugano nonostante un minutaggio insufficiente, non eri scontento del tuo rapporto con Zeman: hai infatti affermato in passato che almeno lui ti diceva sempre le cose in faccia. Hai patito le critiche che ti arrivavano alle spalle, è con Renzetti che è venuto a mancare il feeling? Che cosa è successo veramente?

Con Zeman confermo che nonostante tutto avevo un bel rapporto. È un allenatore che a livello di gioco e di movimento mi ha dato molto. L’unico problema è che mi limitava un po’ perché a lui non piacevano i cross e questo mi metteva ovviamente in difficoltà. Tra l’anno scorso e questo la maggior parte dei miei assist sono infatti arrivati su palla ferma o su cross. Da questo punto di vista non è dunque che potessi cambiare completamente, sono sempre stato un giocatore che ha sempre cercato l’ultimo passaggio mentre Zeman vuole palla a terra, inserimenti, uno-due. Da quel lato ho sofferto, ma ho maturato in me un’altra parte che mi ha aiutato a variare il mio gioco, a cambiarlo in dipendenza dalle varie situazioni. Quello che è successo con il presidente è ormai acqua passata, ma a campionato in corso le gerarchie erano già chiare e io avevo la funzione del dodicesimo uomo, il giocatore che subentra come primo. Io ho accettato la situazione perché Zeman me l’ha detto in faccia. Io sapevo e non facevo di conseguenza voli pindarici, non mi illudevo per niente e quindi ora mi ritrovo qui. Alla fine s’impara maggiormente da una situazione complicata come quella a Lugano negli ultimi mesi che magari da una stagione piena di risultati positivi. Sono cresciuto maggiormente così.

 

Rispetto alla sistemazione a Thun: non solo da un punto di vista calcistico, ma anche nella vita di tutti i giorni come ti trovi? Hai dovuto lasciare nuovamente famiglia e affetti: non è la prima volta perché hai lasciato casa a diciotto anni per andare allo Young Boys, ma è una situazione che ti mette a disagio, la patisci?

Deve essere sincero: all’inizio ho un po’ patito perché anche la mia ragazza viveva in Ticino, mi sono ritrovato qui da solo dopo una situazione non facile ad affrontare una nuova mentalità, una nuova regione. Il passo non è stato evidente, ma il sostegno della mia famiglia non è mai mancato perché tuttora vengono ogni fine settimana a sostenermi, si fermano magari da me a dormire. Sono sempre presenti e credo che senza di loro in questo mondo non so se ci sarei restato così a lungo. Ho avuto infatti dei momenti veramente complicati quando le persone che hai vicino sono davvero importantissime affinché tu possa proseguire il tuo sogno. I primi mesi sono stati un po’ complicati a livello sportivo perché ho faticato ad entrare nella mentalità e nei meccanismi del Thun. C’è stato un cambio radicale passando da Zeman a Saibene: da un allenatore con doti offensive a un altro che punta invece molto sulla fase difensiva, ho avuto di un attimo di adattamento. Dopo però le cose sono andate sempre meglio, con il passare delle settimane ci sono stati miglioramenti, a partire da marzo è arrivata anche la mia ragazza ad abitare con me. Dopo è stato tutto più facile e ora sono veramente felice e questo si vede anche in campo.

 

Matteo: tra due anni dove ti vedi? Sia a livello di un campionato europeo che ti piacerebbe affrontare sia in merito all’obiettivo di poter vestire la maglia rossocrociata?

Io sono nato e cresciuto in Ticino ed essendo molto vicino all’Italia seguivo e seguo tuttora spessissimo la Serie A. Sono legatissimo a quel campionato, sono tifosissimo del Milan, non lo nascondo. Per me sarebbe un sogno poter giocare a San Siro o allo Juventus Stadium, spero che si avveri, sto facendo di tutto perché si avveri. Ci terrei tanto a confrontarmi con un campionato come la Serie A, un torneo che sognavo fin da piccolino. Nella vita non si sa mai, ma un giorno ci terrei a giocare in Serie A. Senza nulla togliere agli altri campionati che sono magari anche uno scalino sopra, ma quello che mi affascina maggiormente è proprio il campionato italiano.

L’obiettivo Nazionale è un altro sogno che porto avanti da piccolino, mi ero sempre detto che un giorno sarei riuscito a indossare la maglia rossocrociata. Finora ci sono riuscito esclusivamente con quelle giovanili, però non ti nascondo che questo è un sogno che ho, un obiettivo. Magari ora ho fatto qualche passo avanti per poterlo realizzare, ma di strada ne manca ancora parecchia, devo confermarmi su questi livelli e cercare di migliorare per poi magare avere una chance. Mi piacerebbe vestire quella maglia anche solo per un’amichevole, per una partita di qualificazione. Poi se arrivassero Mondiali o Europei ancora meglio, ma già una presenza mi renderebbe orgogliosissimo del mio cammino. Già lo sono, ma arrivare in Nazionale sarebbe veramente qualcosa di speciale per qualsiasi giocatore.

 

Da quale allenatore hai imparato di più?

Domanda complicata. Forse pare scontato ma si prende sempre qualcosa da tutti. Certo, chi più chi meno, ma ad esempio con Zeman sono maturato sotto diversi aspetti del gioco, quest’anno e l’anno scorso sono migliorato nell’aspetto difensivo e nel gioco di transizione. Queste ultime due stagioni sono state fondamentali nella mia crescita, poi ho avuto allenatori anche nelle giovanili che mi hanno aiutato molto, partendo da mio papà che avevo da piccolino. Ho avuto un cammino talmente lungo e tortuoso che ogni situazione, anche quelle negative a livello di risultati sportivi, mi ha insegnato qualcosa

 

C’è un terzino che marcandoti ti ha fatto impazzire e che non vorresti più incontrare?

Non saprei, in Svizzera i terzini sono molto offensivi, dunque difensivamente non sono fortissimi. Non ho trovato un uomo in particolare che mi abbia dato così tanti problemi. Certo, un terzino molto fisico che mi sta molto attaccato mi darebbe fastidio, mi metterebbe in difficoltà. Ma un nome specifico non ce l’ho.

 

Hai detto che sei milanista: allora chi è il giocatore di cui avevi il poster in camera? Chi è il tuo idolo?

In merito al Milan son cresciuto con Kaka, Sheva, Inzaghi, ma uno dei più grandi idoli che ho avuto è stato Thierry Henry. Giocavo infatti spesso con la maglia numero quattordici, in passato giocavo anche in posizione più centrale, non ero esterno. Mi ispiravo molto a lui, era un giocatore che mi piaceva tantissimo e avevo diversi poster suoi accanto a quelli del Milan!

 

Seguire i suoi passi non sarebbe male!!

Ahahah … sono lontano ma tanto tanto!!    

 

 

 

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